Calendario CSP: 6 dicembre 2014


Con la casella 6, il CST ci regala un racconto ambientato nel Nordmar e dedicato al misterioso personaggio qui a fianco. Buona lettura!

IL LUPO NERO

Le impronte erano ancora fresche. Aveva smesso di nevicare mezz’ora fa. La neve era quasi immacolata. Giusto qua e là un corvo aveva lasciato l’impronta dei suoi artigli e sotto un albero si intravedevano le orme di un piccolo scoiattolo. E c’erano le tracce del cervo femmina. Evert allentò la cinghia che reggeva la sua faretra e la lasciò scivolare al suo fianco per poter afferrare le frecce più velocemente e facilmente. Poi iniziò a seguire le tracce.
Alla sua sinistra c’era un piccolo bosco con qualche dozzina di abeti, piegati sotto il peso della neve fresca appena caduta. Si accigliò vedendo che uno dei rami, non lontano da lì, era libero dal bianco manto. Un piccolo mucchio di neve sotto il ramo rivelava che era stato ricoperto dalla neve come gli altri fino a poco tempo prima. Evert raccolse il ramo. Non mancava solo la neve, ma verso la punta era pure privo di aghi. Solo alcuni di essi erano rimasti attaccati al legno, isolati e attorcigliati. Molti più aghi erano sparsi sul manto di neve sotto il ramo, ma la maggior parte mancava del tutto. Non aveva bisogno di abbassare lo sguardo verso le impronte per sapere con cosa aveva a che fare. Solo uno sventratore mangiava gli aghi dell’abete in quel modo. Per precauzione, afferrò la spada, magari la bestia era ancora vicina.

Una volta era stato attaccato di sorpresa da uno sventratore. Era accovacciato e non aveva notato l’animale avvicinarsi di soppiatto alle sue spalle finché non aveva sentito il suo caldo alito sul collo e non era stato allarmato da un grugnito improvviso. Ma era ormai troppo tardi. La bestia aveva addentato la sua gamba. Le sue zanne avevano tranciato la pelliccia e il cuoio che indossava, la carne e i tendini fino all’osso. Aveva estratto giusto in tempo il suo coltello e trafitto il fianco della bestia. Aveva messo in fuga lo sventratore, ma stava morendo di dolore. Indebolito ed in procinto di svenire, aveva visto che il cuoio dei suoi pantaloni era diventato nero e che la neve sotto di lui era diventata rossa.
Alla fine Bogir l’aveva trovato e l’aveva riportato nel clan dove i suoi genitori stavano impazzendo per la paura di perdere il loro figlio. Ma questa non era stata la fine della storia. Aveva dovuto imparare che il peggio degli sventratori non erano le loro zanne affilate, ma le malattie che potevi prendere a causa del loro morso. Aveva trascorso un mese intero a letto sotto una dozzina di pellicce di bisonti, sudando come all’inferno e, in alternanza, gelando come se non fosse già l’inverno più freddo del Nordmar. Infine le erbe e gli incantesimi della Gydja (N.d.Colmar: la veggente del Clan) l’avevano guarito, insieme al favore degli antenati.
Ma la Gydja non era lì adesso, come Bogir, che, così gli avevano detto, aveva rinunciato alla caccia. Per quanto riguarda il favore degli antenati, era qualcosa a cui non voleva pensare. Aveva l’impressione che, se l’avesse fatto, si sarebbe levata una voce interiore – una voce che suonava sospettosamente come quella di Garik – e gli avrebbe sussurrato che aveva perso quel favore per essersi ribellato all’eredità dei suoi antenati, dal suo nonno Harald allo scaltro Snorre. Le cicatrici rimaste dal primo incontro con quella bestia bastavano come promemoria.
Diede un’occhiata più da vicino al terreno intorno al tronco dell’abete. Lì, dove i rami erano più spessi e pieni di aghi, era rimasto un anello di fango marrone e il terreno era stato scavato. Di nuovo lo sventratore. Quale altro animale avrebbe scavato nel terreno ghiacciato con il suo grugno per prendere alcune radici o un piccolo roditore? Evert si voltò indietro a guardare le impronte del cervo femmina. Incrociavano quelle dello sventratore, ma non c’erano segni di lotta. Si inginocchiò un attimo a dare un’occhiata ravvicinata alle impronte. Quelle dello sventratore erano leggermente smosse dalle raffiche di vento che si alzava periodicamente dal grande canyon e faceva frusciare gli abeti. Quelle della cerva erano più fresche per cui, in teoria, finora i due animali non si erano incontrati e nessuno gli aveva rubato il suo bottino di caccia. Inoltre la probabilità che lo sventratore balzasse fuori dagli alberi era molto bassa. Probabilmente la bestia se ne era già andata.

Anche Evert proseguì, seguendo le impronte lasciate dagli zoccoli della cerva nella neve. Era cambiato tutto da allora. A quel tempo era un adolescente, aveva visto forse dodici o tredici inverni. Poi era andato da solo nella sua prima caccia, invece di essere accompagnato da suo padre o Bogir o Jensgar o da un altro membro del clan. Nel frattempo era diventato un giovane uomo, aveva superato la prova di virilità, tempo fa aveva dato la caccia alla sua prima tigre dai denti a sciabola e combattuto persino contro alcuni orchi. Era stato così tante volte da solo a caccia che non riusciva a contarle e aveva anche vissuto in solitudine fuori dal clan. Non era uno Sterminatore di Orchi e nemmeno un capo e non lo sarebbe mai diventato a prescindere da quanti fratelli nel clan lo biasimavano per quello. Ma la caccia era qualcosa in cui adesso eccelleva.
Una raffica di vento si alzò di nuovo dal canyon alla sua destra. Ma stavolta non era una raffica breve, che si interrompeva subito, come le precedenti. Evert seguì le impronte ma, mentre camminava, si tolse i guanti. Bagnò il pollice con la punta della lingua e lo sollevò in alto. Il vento proveniva da sud-est, il che era perfetto. Poteva seguire la cerva senza preoccuparsi che l’animale potesse annusare il suo odore. Dietro al boschetto c’era del fumo che saliva dalla cima della collina. Rimase nell’ombra della collina, sotto una rupe un po’ sprogente. La maggior parte degli orchi si era accampata a nord o a est e uno dei suoi uomini non si sarebbe accampato all’aperto in quel modo, così suppose che ci fossero dei goblin. Probabilmente non si sarebbero presi la briga di scendere dalla collina giusto per lui, ma non era necessario provocarli. Dall’altro lato della collina il canyon svoltava verso sud e finiva in una piana lievemente in pendenza, dove crescevano abeti e pini. Evert vide una lepre correre nel sottobosco perché si era avvicinata a lui, ma oggi non era interessato ai conigli. Se non fosse riuscito a catturare la cerva, sperava che almeno un coniglio cadesse in una delle trappole che aveva lasciato intorno al suo accampamento. Ciononostante sperava di poter gustare un po’ di carne di cervo quella sera. La preda non era lontana, ne era proprio sicuro.
Trovò la cerva in una radura, mentre cercava con le zampe un po’ d’erba tra i rami caduti e la neve. Si avvicinò da dietro, nascosto tra alcuni arbusti, e lentamente incoccò una freccia nell’arco. Oltre all’arco, aveva fabbricato da solo anche le frecce, come Gunnar gli aveva mostrato. La punta era fatta di denti di lupo e perciò era estremamente acuminata e perfetta per la caccia. La cerva alzò di scatto la testa e i suoi grandi occhi iniziarono a fissare in maniera frenetica il sottobosco. Le sue orecchie erano sollevate ed una di esse tremò leggermente. Evert tese un po’ la corda dell’arco, attento a non sfiorare gli arbusti intorno a lui e a non far rumore. Per alcuni secondi. Egli stesso non sapeva se avesse teso l’arco per la cerva o per quel che aveva percepito. Forse una tigre dai denti a sciabola aveva il suo stesso obiettivo? C’era forse un orco esploratore a caccia in quella zona?
L’animale corse via ed Evert liberò la corda dell’arco. La freccia, diretta al collo, colpì invece il fianco e penetrò nella carne proprio sopra la sua zampa sinistra. In un attimo aveva già una seconda freccia pronta, ma la sua preda sarebbe sicuramente scappata, se non fosse stato per un lampo nero proveniente dall’altro lato della radura, che si era fiondato sulla cerva. In un istante era tutto finito. Un lupo stava sulla cerva morta con le zanne bianche sgocciolanti di sangue. Evert puntò la seconda freccia verso il lupo, ma abbassò lentamente l’arco. Sapeva che i selvatici lupi dei ghiacci non cacciavano mai da soli, ma conosceva anche un solo lupo del ghiaccio che non era bianco come la neve del Nordmar, ma nero come la pece. Rimise la freccia nella faretra ed uscì dal suo riparo. Il lupo, come la cerva, non aveva sentito il suo odore perché il vento proveniva ancora da sud-est, ma adesso snudò i denti e ringhiò. Evert si fermò un momento. Un simile comportamento non era tipico dei lupi addomesticati del suo clan. Quel che successe poi fu ancora più sorprendente. Tra gli alberi emerse un uomo di fianco al lupo. Evert non era, però, stupito dal fatto che ci fosse un uomo. Al contrario se lo aspettava, avendo riconosciuto il lupo. Ma non era l’uomo che si aspettava di incontrare. Fu comunque felice di vederlo.

“Ronar!” “Evert, son contento di rivederti!” I due uomini si incontrarono in mezzo alla radura e si strinsero in un abbraccio fraterno. “Sei diretto al clan?” Chiese Evert all’altro cacciatore. Sapeva che si trovavano a metà strada tra il capanno di caccia di Ronar e il villaggio del clan. L’altro annuì con la testa. Aveva più anni di Evert, ma era ancora un uomo giovane. I suoi abiti erano fatti di pellicce e cuoio proprio come quelli di Evert. Anche l’arco appeso alla sua spalla era simile a quello di Evert. Come tutti i cacciatori del Clan del Lupo, usava un arco, che era stato ideato da Helmar, uno dei loro antenati, ed era estremamente efficace nella caccia. Nel Nordmar tutti conoscevano questi archi col nome di Azzannatori dei Lupi. “Ho trascorso abbastanza tempo nella mia capanna”, spiegò Ronar, “è tempo di tornare al clan, incontrare un po’ di gente e prendere un po’ di riposo. Non bevo neanche un Torcibudella del Nordmar da settimane.” Indicò alle sue spalle una slitta con una corda, piena di pellicce e sacchi con artigli e denti, legate ad essa. “Devo anche portare il mio bottino di caccia a Rune. Sta aspettando il nostro carico con impazienza in questi giorni.”
Gli occhi di Evert si spostarono dal bottino dietro a Ronar verso il lupo nero che era impegnato a lacerare la testa della cerva con i suoi denti. “Da quanto il lupo di Bullvik è tuo?” Lo sguardo di Ronar si incupì. “Non lo è. L’ho solo incontrato per caso.” Nel cuore di Evert si fece strada un cattivo presentimento. “Cos’è successo a Bullvik?” “Stava accompagnando uno dei gruppi di caccia spediti da tuo padre in questi giorni. Hanno incontrato alcuni orchi e Bullvik è tornato al clan sopra uno scudo. Puoi immaginare come adesso sia disperata Arsa.” Una volta Rune aveva scherzato, dicendo che uno degli antenati di Bullvik doveva essere un ogre. Bullvik era davvero un gigante con braccia grosse come tronchi ed era uno dei migliori guerrieri del clan. Hogar era stato l’unico tra gli Sterminatori di Orchi in grado di reggere il confronto con lui. E dopotutto Hogar era l’Hersir (N.d.Colmar: è il capo degli Sterminatori di Orchi e braccio destro del capo del clan). Tutte le donne del clan erano state gelose di Arsa e di suo marito, ma ormai non lo erano più. Un uomo vivo era sempre meglio di uno morto, anche se quello morto era Bullvik. L’idea che persino un guerriero come Bullvik non fosse al sicuro con gli Orchi lo inquietava parecchio.
“Ed il suo lupo?” “Non ero presente, ma gli uomini hanno detto che era impazzito. Si infuriò contro gli Orchi e poi fuggì via. Nessuno l’ha più visto da allora finché non ha incrociato i miei passi.” Evert si voltò di nuovo verso il lupo. Sapeva che la mamma lupa l’aveva cacciato dalla sua cucciolata a causa della sua pelliccia nera. Quella pelliccia era considerata un cattivo presagio, il segno della maledizione degli antenati. Ma Bullvik si era preso cura del lupo, erano diventati inseparabili e insieme avevano ucciso un bel po’ di Orchi. Lentamente Evert si avvicinò al lupo, che immediatamente sollevò la testa e iniziò a mostrare i denti. Evert fece un altro passo e il lupo iniziò a ringhiare. “Stai attento!” lo avvertì Ronar, che tolse un guanto per mostrare a Evert una ferita profonda sulla sua mano. “Mi ha già morsicato. Penso sia diventato selvatico e imprevedibile, non mi permette di toccarlo. Sono contento che mi sta seguendo verso il clan e allo stesso tempo sono quasi sorpreso che non mi abbia ancora attaccato. Spero che la Gydja abbia qualche consiglio da darci o magari Bogir. Forse riuscirà a calmare il lupo,”
“Come sta Bogir comunque?” chiese Evert, cambiando argomento. “L’ultima volta che sono stato al villaggio la situazione era immutata. Sta seduto vicino al fuoco, parla poco e non vuole andare a caccia.” Il sentimento d’angoscia nel petto di Evert diventò ancora più forte. Bullvik, che era sempre stato così forte e sembrava imbattibile, era morto in combattimento. Bogir, che era stato il migliore cacciatore del clan fin dalla nascita di Evert, che aveva insegnato a Evert così tante cose e gli aveva salvato la vita, sedeva apatico di fronte alla sua capanna. Gli Orchi invadevano la terra degli Antenati in numero sempre maggiore e rendevano la vita ancora più difficile. Era come se un’ombra scura fosse calata sul Nordmar. “Mi dispiace per la tua preda” disse Ronar, strappandolo così dai suoi pensieri. “Temo che non ricaverai molto dal quella cerva.” Evert sorrise beffardamente. “Il lupo avrà anche la carne, ma spero che almeno una lepre sia inciampata in una delle mie trappole.” “Vuoi unirti a me?” chiese Ronar. “No, grazie, sai che.” si interruppe senza sapere come completare da solo la frase. “Abbiamo perso degli uomini in gamba, non solo Bullvik. E temo che la situazione peggiorerà. Stanno arrivando sempre più Orchi. Per il momento sembra che si stiano concentrando sul Clan del Martello, ma non voglio pensare cosa succederà quando avranno finito con loro. La caccia diventa sempre più difficile. Potremmo aver bisogno del tuo aiuto.” “Mio padre si prenderà cura di tutto.” Rispose Evert, ma, dopo le ultime notizie ricevute da Ronar, non era più così fiducioso, come lo era stato fino a quel momento.
“Invia i cacciatori in gruppi più grandi e insieme alcuni Sterminatori di Orchi per scortarli” ammise Ronar. “Ma, come nel caso di Bullvik, anche con loro non sono al sicuro. Inoltre, metà degli animali selvatici è inseguita da un sacco di persone tutte insieme. Ciononostante, eccetto Hanson e me, nessuno lascia più il villaggio da solo. Alcuni pensano che Grim dovrebbe dichiarare apertamente guerra contro gli Orchi, invece di limitarsi a proteggere il villaggio e i gruppi di caccia con i guerrieri. Altri pensano che dovrebbe mandare rinforzi al Clan del Martello.” Evert sospirò. “E sicuramente pensano che dovrei finalmente unirmi agli Sterminatori di Orchi e guidare i guerrieri in questa battaglia perché questa è la volontà degli antenati.” Ronar alzò le mani sulla difensiva. “Non volevo dire questo.” “Lo so, ma gli altri lo fanno.” “Fregatene di loro, sai come vanno le cose. Soprattutto in tempi bui, ognuno pensa di poter essere il migliore Jarl.” “Mio padre è il miglior capo.” Evert e suo padre non parlavano molto da quando era diventato un cacciatore, ma indubbiamente Grim era un grande Jarl e stava agendo al meglio. Il clan era troppo piccolo per uno scontro aperto con gli Orchi. Doveva difenderlo e assicurarsi che i cacciatori portassero a casa abbastanza cibo per la sopravvivenza del villaggio. Quelli che pretendevano da Grim un massiccio intervento nella battaglia contro gli Orchi erano gli stessi che chiedevano a Evert di unirsi agli Sterminatori di Orchi e di seguire le orme degli antenati. “Pensaci giusto un po’ “, disse Ronar. Evert annuì con la testa. “Lo farò.” Poi si sforzò di sorridere e diede una pacca sulle spalle a Ronar.” “Fai attenzione.” L’altro cacciatore fece lo stesso gesto. “Anche te. Addio, e possano gli antenati vegliare su di te.”

Come aveva sperato, una lepre era caduta in una delle trappole vicine al confine della neve. Una sorpresa ancora più gradita fu la colonna di fumo che si alzo sopra il Passo. Nell’erba vicino all’accampamento di Evert era seduto Wilson, che arrostiva un cervo sopra il focolare. Vedendo Evert arrivare, si alzò in piedi. “Evert! Mi stavo chiedendo se ti avrei ancora incontrato qui sopra.” Entrambi si strinsero la mano. “Ne vuoi una porzione? La carne dovrebbe essere pronta tra poco e non posso comunque portare tutto come me giù dal Passo.” Evert sorrise. “Con piacere. Non immagini cos’è successo.”
Sedendosi per terra vicino al fuoco e togliendosi i guanti, per scaldarsi le mani, chiese a Wilson: “Com’è andata la tua caccia?” “Splendidamente. Ho preso una bestia d’ombra, e proprio un bel esemplare.” Indicò la pelliccia che aveva steso al suolo a breve distanza dal fuoco. Una pelliccia particolarmente pregiata. Grande, spessa e nera, ma con tracce argentate al bagliore del fuoco e del sole che stava calando, folta ma allo stesso tempo setosa. “A Faring c’è un Orco che mi dovrebbe dare 400 pezzi d’oro per questa.” Evert annuì con approvazione. Wilson era un cacciatore molto abile, il che era eccezionale per qualcuno proveniente dalle pianure. Perfino molti cacciatori del Nordmar non avrebbero osato avvicinarsi ad una bestia d’ombra. “Laggiù, tra i cespugli, ho nascosto alcuni artigli e pellicce. Non impressionanti come la tua pelliccia, ma dovrebbero comunque valere un po’ d’oro. Puoi prenderli come al solito, saranno il mio pagamento per la coscia del cervo.” Wilson fece un gesto con la mano. “Non dirlo neanche.” “E per un po’ di liquore”, aggiunse Evert. “Ho davvero bisogno di un buon liquore.” E, mentre stava seduto lì a fissare il fuoco, ripensò alle parole di Ronar. Forse era davvero giunto il momento di tornare di nuovo al clan. Un lupo nero era ritornato al Clan del Lupo. Perché non doveva farlo anche l’altro?

Testo: Jünger des Xardas

Traduzione italiana di Colmar.


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