Recensione di Risen da Everyeye.it


Il sito Everyeye.it ha pubblicato una nuova recensione di Risen, a cura di Andrea “Andrea_23” Da Roit.

Gli dèi hanno abbandonato il mondo. Peggio. Sono stati cacciati da un’umanità stanca di essere soggiogata da imperscrutabili voleri superiori. Il prezzo da pagare per questa sconsiderata azione è stato altissimo e l’illusione di una nuova era all’insegna della libertà incondizionata si è infranta crudelmente a seguito del cataclisma planetario prodotto dalla cacciata divina, col rischio concreto di provocare l’estinzione di ogni forma vivente. L’eccezione in questo quadro di desolazione è rappresentata da Faranga, un piccolo isolotto vulcanico bagnato dalle acque mediterranee, che inspiegabilmente sembra essere immune dai perniciosi effetti del flagello. Sarà risvegliandosi sulla dorata sabbia di una delle sue numerose spiagge che un innominato naufrago, curiosamente somigliante al Michael Scofield di Prison Break, inizierà un’epopea alla ricerca di risposte sull’isola dei misteri. Un’ isola che lo stesso personaggio principale, in tutta risposta ad una donna incontrata a Città del Porto e con la quale vivrà una delle parentesi più avvincenti delle sue gesta (vedi BOX: Treasure Hunting 1.0), non si risparmierà di definirla come “una gabbia di matti!”.

Agrodolce.

L’ironia è del resto uno dei pregi, nonché un tratto ricorrente di Risen, come peraltro anticipatoci solo poche settimane fa dal game-designer di Piranha Bytes, Michael Hoge, alla GamesCom. Premurandoci di non entrare nei dettagli per evitare di rovinare la sorpresa ai più, possiamo riportare certamente l’aneddoto durante il quale il nostro eroe senza macchia rifilerà una patacca ad un -giustamente!- impaurito minatore, spacciandola per un potentissimo amuleto mostro-repellente e convincendolo così a tornare alle proprie mansioni. Cosa dire poi della missione “Calcoli Folli”: assegnata al nostro alter-ego per ripicca dal contabile della macelleria dopo averlo deconcentrato nel bel mezzo di un passaggio matematico particolarmente probante. Surreale il botta e risposta tra i due, un qualcosa che inizia con un preoccupato “Se mi fissi non ci riesco!”, liquidato temerariamente dal nostro con un “Ok tranquillo, te li faccio io i calcoli!”. Un aspetto questo dell’umorismo che per brio e lucidità delle battute riporta alla mente i migliori passaggi della trilogia di Indiana Jones, mai inserito a forza e che, al contrario, dona ai dialoghi tra i personaggi maggiore autenticità e coinvolgimento; grazie anche ad un buon lavoro di traduzione, sebbene vada segnalata qualche linea di testo esageratamente stringata, che farà perdere ai non anglofoni la completezza di alcuni passaggi. Poco male, visto che si tratta, ribadiamo, di episodi sporadici.

Come la buona narrativa insegna sono proprio i passaggi più seriosi a risentire positivamente per contrasto di questa impostazione sopra le righe, risaltando inoltre per immediatezza ed efficacia con cui il “vettore” drammatico viene veicolato. Nulla di ridondante o, peggio ancora, auto-celebrativo: sono messaggi che colpiscono grazie alla loro semplicità. Emblematica la rivelazione dell’assistente del Tempio della Fiamma, che si scoprirà essere in realtà uno degli arcieri più abili dell’isola, privato di ogni dignità dall’Inquisizione, la quale ha imposto la legge marziale sull’intera cittadina: “Ho dato in pegno il mio arco, mangiando per una settimana. E pensare che un tempo con quello sfamavo l’intera città…”. Ugualmente toccante la ricompensa offerta da un commerciate ad un passo dalla bancarotta, che in cambio dei nostri servigi sarebbe stato in grado di fornirci “qualche freccia, oltre all’amicizia e la felicità di alcune persone”. Una persona tradita da una voce rotta dalla disperazione ma, nonostante tutte le disgrazie subite, pronta a tener duro, vedendo nella nostra venuta un segno di speranza. E se poc’anzi abbiamo speso parole di merito circa la localizzazione in lingua italiana, questa volta occorre elogiare un doppiaggio inglese di prim’ordine, in grado di toccare addirittura vette d’eccellenza con la prestazione riservata alla figura dell’Inquisitore Mendoza. E’ il suo greve e solenne tono vocale a donargli un che di oscuro ed insondabile: un’enigmaticità difficile da scalfire, almeno fino a che non si giungerà alle battute finali.

Dilemmi…

Gli elementi esposti fino ad ora iniziano ad essere numerosi: abbiamo un’ incantevole isola mediterranea cui fa da sfondo un catastrofico tsunami, a complicare ulteriormente le cose provvede il pugno di ferro dell’Inquisizione. Come si legano tutti questi eventi? E’ tempo di fare un po’ di ordine. Contemporaneamente al verificarsi della tempesta, sull’isola sono emerse dal sottosuolo delle catacombe tanto ricolme d’oro, quanto di trappole mortali. L’inevitabile curiosità della popolazione locale, nonché la loro sete di ricchezza, non hanno fatto altro che risvegliare le mostruosità in esse contenute. E’ a questo punto che entrerà in gioco Mendoza, il quale grazie alle forze messe a disposizione dall’Inquisizione porterà a compimento un’occupazione coatta di Città del Porto, cogliendo contemporaneamente l’occasione per scacciare la precedente (ed indesiderata) amministrazione con a capo Don Esteban ed assicurarsi un saldo punto di appoggio per le successive perlustrazioni delle rovine disseminate su tutto il territorio. Il naufragio che porterà il deus-ex machina (noi) sul proprio luogo d’azione (l’isola) seguirà a breve distanza da questa serie di scompigli politico-militari, sicché starà al giudizio del giocatore propendere per una delle due parti in lotta e, manco a dirlo, la scelta non sarà per nulla semplice o gratuita.

Non esistono tonalità nette in quel di Faranga e sarà un nutrito gradiente di grigi a dominare le decisioni del protagonista: optare per gli alti e puri ideali di un’ Inquisizione impersonificata dal profetico Mendoza, in nome dei quali sono disposti a porre in sacrificio delle vite umane senza troppi complimenti? O per il carismatico Don Esteban, ben voluto dagli autoctoni, ma altresì invischiato in numerosi malaffari e per di più ossessionato dalle favolose ricchezze emerse dal sottosuolo? Come accadeva nella precedente serie ad opera dei Pirahna Bytes, Gothic, anche Risen fa della libertà interpretativa uno dei suoi cavalli di battaglia, cosicché non sarà mai imposto un aut-aut ad un eventuale schieramento, dando anche la possibilità di affrontare l’avventura in un ruolo super-partes. Il che permetterà di mantenere buoni rapporti con tutte le parti, privando però dei vantaggi che si godrebbero scalando i ranghi di potere, sia che si scelga di rientrare tra le fila dei Ribelli piuttosto che degli Inquisitori.

…e certezze.

Un ulteriore influsso proveniente da Gothic è rintracciabile nella verve esplorativa del gdr tedesco. Un lato dell’esperienza di gioco che Pyrahna Bytes ha sempre tenuto in alta considerazione con cognizione di causa, ben sapendo che ancor prima di una patina estetica di prim’ordine viene la cura riposta sia nell’ideazione di ambientazioni che sposino un approccio libero, senza risultare indifferenziate, ed ovviamente, sia in una sovrastruttura narrativa che sappia sostenere, contestualizzare e valorizzare l’offerta ludica di tali locazioni. L’approccio utilizzato dagli sviluppatori teutonici per raggiungere tale fine è a suo modo unico, un sentiero che, senza eccedere in una direzione piuttosto che all’opposto, attraversa sia i domini a larghissimo spettro rifacentisi alla filosofia Bethesda od in generale al genere degli MMO, sia lambendo contesti dove la gestione del territorio di gioco si fa più puntuale, abbracciando con garbo la tradizione della Bioware di vecchio corso, infine ispirandosi a capisaldi d’esplorazione tout-court, citandoli sottilmente e con garbo, quali possono essere The Legend of Zelda, Metroid, Grand Theft Auto.

Un’eterogeneità di fonti che potrà apparire esagerata, eppure forti del senno di poi, se le precedenti esperienze del team non fossero ancora bastate a convincere i dubbiosi, è fuor di dubbio che una tal direzione creativa funzioni egregiamente grazie all’assortimento di luoghi credibili e perfettamente coerenti che l’isola di Faranga svelerà in modo progressivo, ma non meccanico. Un particolare che balzerà sicuramente all’attenzione dell’esploratore navigato, specialmente nelle ultime ore di peregrinazione alle pendici dell’iconico, minaccioso vulcano. Quando la cognizione geografica dell’isola sarà prossima alla completezza ecco, sorprendentemente, l’intuizione: il traguardo finale sarebbe stato raggiungibile, rocambolescamente, fin dalle primissime battute. Un tocco di classe in materia di game design che non ha nulla da invidiare ai classici citati poc’anzi. Rocambolescamente poiché tra l’alfa e l’omega, tra la spiaggia di approdo iniziale e l’epilogo dell’appassionante vicenda a cui giungerà il nostro eroe, stranamente somigliante all’ingegnere edile più famoso del piccolo schermo, si frapporranno insidie via via più mefitiche. No, è meglio non giungere a conclusioni affrettate, purtroppo una lunga corsa a perdifiato non servirebbe a risolvere i problemi che minacciano non solo Faranga, ma l’intero pianeta.

Phoenix deutschen Stil.

Ecco l’altra sfaccettatura vincente del progetto di rivalsa dei Pyrahna Bytes ( “Risen”: un nome, un perché, no?): un coefficiente di difficoltà che, specialmente nelle prime battute, agli sprovveduti potrà apparire disonesto, quando il massimo della minaccia che potremo offrire sarà lo sventagliare in faccia al nemico una patetica radice bitorzoluta. Un iter di addestramento subdolo ma efficiente, che irrobustirà le ossa dell’esploratore, rivelandogli progressivamente un substrato di regole intelligibili, “in filigrana”, che una volta comprese e padroneggiate lo renderanno non più preda, ma predatore. Nella sede e nei tempi opportuni. Poco importa se gli inserti action nel sistema di combattimento non si rivelano così raffinati come sarebbe stato d’uopo, o ancora, se le animazioni – parafrasando l’azzeccata uscita di un collega in quel di Colonia – riescono a “raggiungere e superare i sopraffini standard impostati da Bethesda con Fallout 3”, tutto ciò che segue, da “smaliziato” gioco di ruolo qual’è Risen, è un convincente processo di accrescimento in termini di potenziamento del personaggio, reso soddisfacente dall’equilibrio raggiunto tra il tasso di sfida offerto, le abilità e le professioni intraprese dal personaggio e le risorse messe a disposizione come ricompensa, puntualmente commisurate allo sforzo compiuto per ottenerle.

Ulteriori esempi calzanti della qualità intrinseca dell’operato di Pirahna Bytes possono essere i menù di gioco, piuttosto che l’estetica visiva: tutti aspetti che, esattamente come quelli trattati fino ad ora, sono accomunati da una filosofia che premia la sostanza e, solo successivamente, la forma. Di primo acchito la visione del diario di viaggio provocherà una repulsione ai più, riportandoli indietro almeno di dieci anni, quando le interfacce, dal punto di vista estetico, erano più una formalità che altro. Salvo poi constatare che le statistiche del personaggio (riassunte in un’unica schermata), così come l’elenco delle quest (filtrate per zona e provviste di mappe, trafiletti riassuntivi e di un elenco completo dei dialoghi ad esse associate), senza dimentare il provvidenziale specchietto riassuntivo di tutti i commercianti e gli addestratori incontrati, si riveleranno invero molto comodi. Alla faccia dei sofisticati, ma altrettanto dispersivi corrispettivi nei titoli d’eccellenza visti anche di recente. Come si diceva lo stesso discorso può essere applicato all’aspetto grafico del gioco, le cui qualità vanno rintracciate più nella varietà e nella maestosità della visione d’insieme, dominata dal minaccioso cono vulcanico che man mano passeranno le ore aumenterà la propria attività, sconquassando l’intera isola sempre più violentemente, che non nel singolo dettaglio. A colpire sarà dunque la coesione delle location, siano esse antropizzate o naturali e, contemporaneamente, l’unicità di ciascuno scorcio, studiato e creato amorevolmente palmo a palmo dagli artisti tedeschi. Un lavoro di alto artigianato digitale in sostanza, valorizzato ulteriormente e da una palette di colori virata impercettibilmente al seppia e da un’illuminazione a tratti abbacinante, anche e soprattutto (per quanto paradossale) alle ore crepuscolari. Vedere per credere: miracoli della tecnologia!


Commenti

Risen mi piace. Ci gioco con lxbox da pochi giorni e mi ha fatto rivivere i bei momenti passati con gothic 1 e 2. Non ho ancora una visione completa e dettagliata del gioco ma di sicuro posso affermare che è uno dei migliori rpg per consolle a cui finora ho avuto modo di giocare. Non mancano di certo i difetti:

– animazioni poco realistiche e ripetitive, sia per quanto riguarda il personaggio principale che durante gli scontri i. I mostri tendono a comportarsi tutti nella medesima maniera lanciandosi in movimenti poco convincenti.
-texture “spalmate” male
-qualche piccolo bug in alcune quest.

se dovessi dare un voto direi….uhm….8.5

Non è possibile scrivere nuovi commenti in questo articolo.