L’esempio di Gothic e Risen: intervista esclusiva con i Piranha Bytes!


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Il sito tedesco specializzato pcgameshardware ha intervistato recentemente Björn Pankratz, project manager, game designer, e colonna portante dei Piranha Bytes, a proposito dello sviluppo dei videogiochi.

[image id="4194"] Björn Pankratz, Game Designer e Project Director dei Piranha Bytes.

PCGH: Quali sono le riflessioni iniziali che bisogna fare, prima di iniziare a sviluppare un videogioco?

Björn: Il processo di sviluppo di un videogioco ha moltissimi parametri, che prima di tutto vanno scoperti, analizzati e poi decisi. Questo riguarda sia le risorse che è possibile sfruttare, sia i desideri del mercato. Ad esempio, se vanno di moda i giochi con gli zombie, si potrebbe decidere di sfruttare proprio questa particolarità come visione di base del progetto. Molti altri elementi del gioco dipenderebbero da questa idea di fondo: bisogna decidere com’è possibile uccidere gli zombie e come rendere credibile la sensazione di combattere per la propria sopravvvienza. Successivamente sarà necessario analizzare le competenze e le esperienze del team. Dopodiché sarà possibile determinare se servono risorse o attività specifiche nello sviluppo: un gioco di zombie necessita veramente di un team di scrittori per i dialoghi? Probabilmente no. Ci serve qualcuno che possa fornici preziose informazioni su shooter ed armi da fuoco? Ci serve qualcuno che programmi il motore grafico e, se sì, ci serve un motore grafico 2D oppure preferiamo un motore 3D?

È importante anche decidere la piattaforma del gioco. Una volta chiariti tutti questi aspetti – o perlomeno dopo aver tracciato un completo profilo di base – bisogna verificare di quante risorse economiche si dispone. Va anche definito il mercato di riferimento al quale il videogioco mira, e quindi gli introiti potenziali. Chiariti i dubbi finanziari, si decide quanto si vogliono fare le cose in grande e quanta gente serve nel team. Quali elementi vanno dati in outsourcing. Infine si formula la visione del gioco: significa mettersi al tavolino con svariate persone, fare brainstorming e buttare insieme tutte le idee che si riescono ad avere, per definire bene l’idea di fondo, l’ambientazione e tutto il resto.


PCGH: Con i Piranha Bytes lavori come game designer e project manager. Quali sono i tuoi ruoli, nello specifico?

Björn: Devo assicurarmi che ci sia una visione coesa, condivisa da tutto il team, e che le cose di cui abbiamo appena parlato siano trattate adeguatamente. Devo dare le direttive ai membri del gruppo: ad esempio è compito mio decidere se un membro del team lavora per un giorno, per una settimana o per più tempo ad uno specifico compito. Devo verificare di avere programmatori a disposizione e assicurarmi che il loro lavoro proceda correttamente, devo fare in modo che grafici e scrittori lavorino in accordo e secondo i piani. Tutto questo confluisce in una sequenza di attività che vengono gestite da un software come Microsoft Project, permettendo di stimare approssimativamente quando il gioco sarà pronto per la pubblicazione. Sono più o meno questi i miei compiti, dalle fasi iniziali di definizione a quelle di lavorazione del progetto.

Come game designer, invece, ho il compito di determinare il tono del prodotto. Quindi definire quale sarà l’aspetto visuale delle cose, quali saranno i contenuti in particolare, a quale mercato ci rivolgiamo, lo svolgimento della storia, le feature che intendiamo offrire. Tutto questo viene deciso insieme agli altri game designer che lavorano con noi.
Inoltre mi occupo anche della ‘sceneggiatura’ (story writing). In questo ambito devo scrivere i dialoghi per il gioco di ruolo, definire le quest, popolare il mondo, distribuire i mostri, curare il design dei livelli.


PCGH: Quando sviluppi la storia, la formuli direttamente in termini di copione?

Björn: Questo dipende strettamente da ciò che si intende offrire. Un giocatore deve sempre avere un obiettivo chiaro. All’inizio, in Risen 1, il protagonista giunge su una spiaggia come naufrago e deve cercare di sopravvivere in qualche modo. Questo significa cercare di scoprire su quale isola si trova, cercare informazioni sul mago visto nel video introduttivo, ma nel frattempo cercare di rimanere in vita sfruttando solo un bastone ammuffito ed uno scudo arrugginito. Comincia a raccogliere oggetti, combattere mostri, guadagnare punti ed apprendere abilità. Intanto però sono chiare almeno due cose: chi è l’antagonista, in un certo senso, l’identità del “grande male” che bisogna far fuori a fine gioco, e come la storia ha inizio.

Il passaggio tra questi due estremi determina il modo in cui si racconta la storia. Durante tutto quel tratto intermedio, che è il gioco in sé, bisogna decidere come investire le proprie risorse come game designer. Quanti e quali personaggi servono, quali mostri servono, qual è il territorio a disposizione…. Così si comincia.


PCGH: Segui un sistema simile per quanto riguarda la quest? Prima di tutto definire un piano di base e poi cercare di tappare i buchi?

Björn: Sì, si sviluppa una specie di modello a catena di perle, un filo conduttore. Il tema principale del gioco deve essere chiaro. Esistono cinque, forse sei crune di ago che è assolutamente necessario attraversare prima o poi. Ad esempio, in Risen 1 era necessario raggiungere il monastero ad un certo punto, per poter incontrare l’Inquisitore e, assieme a lui, trovare poi il tempio. È un compito che deve svolgere ogni giocatore, prima o poi nel gioco. Ed è il modo in cui si arriva lì che permette di spiegare nella sua interezza la catena di perle: tra una perla e l’altra si trova tutto un mondo libero da esplorare. Significa che non si è mai del tutto certi di cosa abbia fatto il giocatore, di quanto sia forte, di dove si possa trovare e parametri simili. Sono tantissimi fattori da considerare. Ma all’inizio ci si concentra solo sul filo conduttore, lungo il quale si impilano i nodi fondamentali. Tutto il resto si può aggiungere pezzo per pezzo.


PCGH: Le vostre idee sono sostanzialmente nuove oppure, di tanto in tanto, recuperate concetti vecchi o che avevate già immaginato, ma mai realizzato?

Björn: Raramente. A volte si trovano delle idee minori che si cerca di sfruttare nuovamente. Ma nella maggior parte dei casi si sfrutta la proprio esperienza accumulata. Ci sono dei principi fondamentali che vanno imparati e che poi si possono applicare ogni volta, anche se in maniera diversa. Ma concetti ed idee sono difficili da riciclare. Ci si orienta sempre in base a ciò che c’è nel mercato, a ciò che risveglia l’interesse della gente. Ad esempio, se si ha l’idea di realizzare un gioco ambientato nel mondo dei vichinghi e allo stesso tempo viene pubblicato Skyrim, conviene cambiare rapidamente idea perché, come piccolo team di sviluppo, non ci sono i mezzi per competere. Questo solo per fare un esempio di un fattore esterno, che può sconvolgere radicalmente un’idea, un concept.


PCGH: Come funziona il rapporto con i publisher? Questi di solito partecipano direttamente allo sviluppo oppure sviluppate il gioco per conto vostro, con calma, prima di cominciare a mostrare qualcosa?

Björn: All’inizio si cerca sempre di instaurare un dialogo, per chiarire e mettere i paletti necessari. Si definisce quanti soldi sono necessari, quanto tempo e che tipo di team, quale sia il mercato di riferimento – PC, XBox o PS3, ad esempio. Il publisher vorrà sapere qualcosa sul concetto di fondo. In questo caso sarebbe nostra responsabilità chiarire di voler realizzare un gioco di ruolo piratesco, con un certo stile grafico, alcune condizioni ed una certa storia intrecciata su un filo conduttore già più o meno abbozzato. In concomitanza si realizzano un paio di artwork, in modo tale che chi fornisce i soldi per il lavoro può farsi un’idea di ciò che otterrà. Infine si mette tutto insieme in una presentazione PowerPoint e la si mostra al publisher. Di solito ci si incontra in una grande stanza con diverse persone che possono fare decisioni sugli aspetti finanziari e di marketing. Devi vendere il tuo prodotto a queste persone, anche se a quel punto non hai ancora nessun prodotto vero e proprio in mano. Devi semplicemente avere una buona idea.
Se prima di allora è già stato realizzato un gioco di successo, la gente in quella stanza tende a fidarsi maggiormente di quello che gli si racconta. Diventa naturalmente più difficile se ci si presenta come team completamente nuovo, soprattutto se si tratta di un’idea rischiosa. In questo caso è ancora più cruciale riuscire a convincere il publisher. Nel caso ottimale si dovrebbe già avere un piccolo pezzo di gioco, per poter trasmettere meglio la propria idea.

Per finire si realizza un contratto e si definisce la scadenza della prima milestone. Il publisher infatti, normalmente, paga lo sviluppatore in base ai vari milestone che si raggiungono (N.d.T. in italiano “pietre miliari”, ossia obiettivi intermedi nel processo di sviluppo). A quel punto si comincia a lavorare sul game design e sulla grafica. Si realizza un grande resoconto concettuale, un cosiddetto documento di design, in modo da permettere al publisher di capire a fondo quale sarà il prodotto finale. Solitamente è anche la prima milestone che viene pagata. Si procede iterativamente, realizzando il motore di gioco e delle demo sempre più complesse. Col succedersi della varie milestone il prodotto diventa man mano più completo.
Il publisher potrà valutare l’andamento dello sviluppo in base a queste release intermedie e chiaramente potrà anche influenzare il processo da fuori, cercando di spingere lo sviluppo in una direzione oppure in un’altra. Si ricevono solitamente moltissimi input da parte dei publisher, proprio perché alla fine dei conti hanno la responsabilità di mettere il gioco sul mercato e fare in modo che il marketing faccia il suo dovere, affinché il prodotto lanciato sia un successo.


PCGH: Date un’occhiata al feedback sulle vostre opere su internet e tenete in considerazione i punti di critica nel lavorare ai progetti successivi?

Björn: Il cliente ha sempre ragione e bisogna sempre fare ciò che il cliente desidera, altrimenti si perde e basta. I propri fan si conoscono, bene o male. Le loro opinioni sono note ed evidenti, soprattutto riguardo gli aspetti che non sono stati apprezzati in un gioco precedente. È sicuramente una buona idea prendere in considerazione le critiche, se non addirittura prendere spunto dai consigli e dai desideri dei fan. Affrontiamo questa cosa con un sistema a maggioranza, ossia: se almeno 5 o 6 persone su 100 si orientano nella stessa maniera, prendiamo sul serio la cosa. Se si tratta di voci isolate, non sono necessariamente troppo importanti. Se la gente ha apprezzato alcune cose in particolare di quanto abbiamo fatti in passato, tendiamo a mantenere gli stessi elementi anche in giochi futuri. E chiaramente esiste anche una “lista dello schifo” in cui mettiamo ciò che la gente ha apprezzato di meno. Ci sono elementi in particolare in cui preferiamo chiedere direttamente alla gente cosa si immagina e cosa desidera. Sono sicuramente idee che prendiamo molto sul serio.


PCGH: Prima hai menzionato che date sempre un’occhiata al mercato, per cercare di evitare prodotti che già esistono. Del resto, coltivate uno stile molto personale. Quindi, è anche vero che guardate al mercato per farvi ispirare e prendere qualche idea da copiare?

Björn: Chiaramente diamo un’occhiata a tutto ciò che c’è. Tutto il mercato si influenza reciprocamente. Ci sono standard, che il giocatore si aspetta. Ad esempio, il controllo del proprio personaggio tramite i tasti WASD. Nessuno, che non intenda dare esplicitamente fastidio alla propria clientela, proporrebbe un controllo diverso da questo. Vale anche per il controllo della telecamera col mouse. È uno standard di fatto e va riproposto. Vale anche per altri livelli di dettaglio: per esempio per quanto riguarda le mini mappe. Oppure come si mostrano le mappe a schermo e come si utilizzano. Il nord, è abbastanza normale, che sia in alto. Una pozione di salute solitamente è rossa. Una di mana è sempre blu. Ci sono cose che si copiano, non c’è ragione di nasconderlo, è normale del resto. Solitamente ci siamo sempre ispirati a titoli simili al nostro. Ad esempio, in Gothic 1, abbiamo dato un’occhiata molto approfondita a Ultima 9 ne abbiamo copiato diversi elementi, ad esempio la gestione della telecamera ed il sistema dei dialoghi. Anche Outcast è stato uno dei giochi che abbiamo preso a modello, visto che conteneva molti elementi che ci piacevano. La conduzione dei dialoghi, come si muove la telecamera, il fatto che la gente si mette in piedi e ti rivolge lo sguardo quando le parli. La telecamera che inquadra una volta da sinistra, una volta da destra mentre si parla. Sono cose che è bene copiare.


PCGH: E per quanto riguarda la altre fonti di ispirazione? Fantasy e quant’altro? Utilizzate spesso libri, fumetti o film come ispirazione?

Björn: Sì. In questo contesto si menziona quasi sempre Il signore degli anelli, la più classica fonte di ispirazione dell’intero genere di giochi e libri fantasy. Del resto, tutto il genere nasce praticamente con quel libro. Tolkien ed il suo mondo hanno sicuramente influenzato le nostre opere e, quando sono poi uscite le versioni cinematografiche di Peter Jackson, anch’esse hanno di nuovo avuto una forte influenza su di noi. Del resto i nostri troll non sono così dissimili da quelli de “Il signore degli anelli”. Per quanto riguarda dialoghi e storia, ci facciamo spesso ispirare dai film più disparati, proprio perché la narrativa cinematografica è simile a quella di un dialogo in un videogioco.


PCGH: Una cosa che mi interessa particolarmente in quanto giocatore su PC è lo sviluppo multi-piattaforma. Bisogna prendere in considerazione il porting su console già all’inizio dei lavori, specie per le differenze nelle prestazioni? Tagliare quindi la grandezza dei livelli? Oppure non vi interessa e poi in caso fate i conti con questo aspetto?

Björn: Se non ci interessasse in partenza, avremmo un bel problema. Abbiamo sviluppato Gothic 3 principalmente per PC e soltanto in un secondo momento a qualcuno è venuta l’idea di farne il porting per Xbox. Ma tecnicamente non era fattibile: memorizzare il mondo a pezzettini e gestire tutte le texture, a quella risoluzione era semplicemente impossibile. Bisogna fare delle considerazioni speciali molto prima di iniziare i lavori, specie sul fronte tecnico, altrimenti non si ha nessuna possibilità. Non significa necessariamente che il gioco su PC debba essere più brutto: soltanto che le risorse vanno gestite con più attenzione. Il porting su console in alcuni casi fa bene anche alla versione per PC: non si rendono le cose equamente brutte su ogni piattaforma, ma si inizia a fare attenzione alla gestione delle risorse e della memoria in maniera molto più profonda. Si lavora molto prima all’ottimizzazione di quanto non accada altrimenti.

L’altro aspetto importante è che su console si ha un’esperienza di gioco molto diversa, a causa del controller. Quando si gioca ad uno shooter con tastiera e mouse si è sempre più abili di qualcuno col gamepad, è naturale. Chi gioca col mouse ha il vantaggio. Per noi significa che bisogna considerare entrambe le interfacce già dall’inizio, per impostare il sistema di combattimento in modo tale da renderlo fruibile su entrambi i sistemi. Ci sono anche altre piccole limitazioni tecniche: come gestire il font del testo in modo che sia visibile e così via. La gestione della memoria e le performance per il resto sono i problemi maggiori, non solo per quanto riguarda la grafica, ma anche tutto il resto.


PCGH: Quanto rimane, alla fine dei lavori, di quello che avevate ideato inizialmente? Le cose rispecchiano ancora le bozze iniziali oppure è un’eventualità rara?

Björn: Nel rispondere a questa domanda non farò riferimento a Gothic 1, che ha avuto un processo di sviluppo molto avventuroso, durante il quale noi stessi non eravamo sicuri di quello che volevamo fare. Noi stessi ci siamo evoluti, proprio mentre lavoravamo al gioco e stavamo scoprendo come si procede. L’esperienza che abbiamo raccolto con Gothic 1 ci è stata molto utile per i nostri progetti successivi. Se oggigiorno sviluppiamo un concept, di solito alla fine dei lavori lo abbiamo realizzato all’80%. Ci sono sempre modifiche in corso d’opera, è chiaro. A volte ci sono idee che vengono alterate completamente durante lo sviluppo, magari scoprendo che una particolare tecnica non si riesce a sfruttare. A volte il contrario, salta fuori Speed Tree, col quale è possibile realizzare splendide foreste. Questo chiaramente ha un’influenza sul nostro lavoro, anche se non altera in maniera profonda l’idea di base.

Un progetto è sempre suddiviso in varie fasi. Inizialmente abbiamo la fase di design, dopodiché la “proof of concept”, prototipi, per provare, testare ciò che si intende fare. Infine seguono le fasi di produzione vera e propria, durante le quali dovrebbe essere già ben definito l’aspetto finale del gioco e non si ha la libertà di cambiare radicalmente idea. Molte cose che si sono decise inizialmente devono poi essere realizzate in quel particolare modo, perché cambiarle stravolgerebbe i cicli di produzione delle tante persone coinvolte. Se si considera anche il lavoro di aziende esterne – appunto, tema “outsourcing” – il tutto si fa ancora più complicato. Se abbiamo un’azienda esterna che sta lavorando a qualcosa e cambiamo specifiche in corsa, chiaramente ha delle ripercussioni importanti sulla collaborazione, sui tempi e sulle finanze. Proprio per tutta questa serie di motivi, idealmente un gioco all’80% finisce per somigliare al concept iniziale.


Traduzione a cura di Lck.


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